mercoledì 29 giugno 2022
venerdì 2 maggio 2014
Homo Homini Lupus
Cari Amici,
Ci sono una serie di fattori sui quali vorrei riflettere insieme a voi:
1) Pensate ad un pianeta il cui numero di abitanti nel corso degli ultimi tre secoli è centuplicato, ma le cui risorse sono sempre rimaste le stesse. Pensate che, secondo stime un poco allarmistiche ma credibili, molte delle risorse alimentari che conosciamo non saranno più disponibili
2) Pensate alle migliaia di disperati che, con cadenza quasi giornaliera, affollano le nostre coste, e ad un mondo Occidentale-Atlantico
3) Pensate rivoluzione tecnologica, tanto utile per molti aspetti, ha azzerato la necessità di forza lavoro. [Alcuni sostengono che sia un semplice segno dei tempi. Carpentieri, scribi e maniscalchi oggi sono diventati Webmaster, NetAdmin e Dataenter. Può anche essere vero, ma ciò che non si coglie sono le proporzioni. Per ogni 100 lavoratori in esubero, resi inutili dalla tecnologia, il mondo del web ne reimpiega uno.]
4) Pensate all'azzeramento del costo di trasporto delle merci, che rende possibile produrre a costi infimi nelle zone più povere ed esportare in quelle più ricche.
5) Pensate ad un sistema sanitrario che, vittima di sprechi, facilonerie e corruzione non può reggere
6) Pensate ad un sistema previdenziale che non può reggere questo tasso di invecchiamento demografico
E' un sistema in Crisi. Queste sono le reali ragioni della crisi.Una barca che affonda. Cosa succede quando una barca affonda? "Si salvi chi può". Ed è in questo momento che viene in mente Hobbes. L'uomo è naturalmente dotato di un istinto di sopravvivenza che si basa sulla legge del più forte. Il primo naturale istinto è quello egoistico di autoconservazione. Questo istinto aveva portato a un patto di subjectionis, a un pactum societatis attraverso cui si era usciti dallo stato naturale per fornire delle tutele condivise. Ora però questo patto è in crisi. L'equilibrio si è rotto. Non è più possibile garantire l'istinto di conservazione di tutti attraverso queste regole. Eppure di questo non si può neanche parlare, si preferisce spacciare la crisi quale fattore temporaneo da cui si può uscire uscendo dall'euro o abolendo il Senato. Pillole buttate a caso per far star tranquilla la gente e cercare di non toglierle almeno la speranza.
Ma è come tentare di prosciugare il mare con un secchiello. Ma chi potrebbe non ci pensa. Meglio buttare benzina sul fuoco garantendo i nostri piccoli orticelli. Hobbes ci costringe a pensare e a dubitare? Benissimo, aboliamo l'insegnamento della filosofia e sostituiamolo con una retrospettiva sui talent shows. Da questa crisi non si esce, nè oggi, nè domani. Non così
Cosa possiamo farci? Non ho risposte, non ho buone risposte. Ma le strade sono tre
a) Troviamo un nuovo pianeta, in cui portare 3 miliardi di noi, ristabilendo il rapporto risorse-utenti.Possibile? Per ora no
b) Una politica di governo mondiale che ridefinisca il pactum subjectionis, garantendo la sopravvivenza di tutti. Possibile? Forse sì. Probabile? No
c) Una guerra tra poveri, in cui la selezione naturale riporti il rapporto risorse/persone sotto il livello di guardia. Possibile e Probabile
Cosa c'entra tutto questo con un blog sui disabili?
C'entra perchè i diritti dei disabili sono per antonomasia la cartina di tornasole del divario sociale. Essendo gli ultimi a potersi salvare da soli, sono i primi in pericolo.Sono le prime vittime di una guerra tra poveri che coinvolgerà mezzo mondo. Ma sarà un sacrificio poco utile perchè molti dei vincitori di oggi saranno i vinti di domani. Però non ci si pensa. Tiriamo a campare cercando di non sentire il grido di dolore di quanti saranno sacrificati.
Massì chiudo i libri di Hobbes e vado a televotare per qualche sfida canora
E' meglio. Il nuovo oppio dei popoli
venerdì 17 gennaio 2014
La vita del fratello
Essere fratello di un fratello disabile è un mestiere che nessuno ti insegna. In realtà questa è una cosa ovvia, ma quanti di voi hanno mai pensato a una cosa del genere? Quanti possono dire di avere fatto questa esperienza? Faccio fatica a dire, quando accenno al fatto che ho un fratello, che è “disabile”. Non sempre me la cavo bene nella comunicazione verbale, e così butto lì la sua disabilità in maniera brusca, senza nessi apparenti con il tema del discorso. Il fatto che il fratello è disabile dovrebbe cambiare qualcosa all'universale esperienza di essere fratello? A naso direi di sì, ma è una mia idea: le persone che conoscono me e non conoscono mio fratello non sanno nulla di questa esperienza, di questa variazione del tema dell'essere fratello, e così non dicono nulla, solitamente sembrano non recepire l'informazione e ci passano sopra. Molti non lo vengono nemmeno a sapere perché, come dire, l'informazione non sembra attinente alle nostre conversazioni: raramente parlo della mia famiglia e il mio grado di apertura su questo argomento varia a seconda della sensibilità e del vissuto dell'interlocutore. Le persone che conoscono superficialmente me e bene mio fratello sono in grado di intuire qualcosa, ma dubito che colgano veramente qualche aspetto del nostro rapporto, così non dicono nulla in proposito, anche perché raramente mi capita di parlare con loro: la rete di rapporti di mio fratello, oltre ad essere molto più estesa della mia (perlomeno all'interno del paese in cui viviamo) è anche e soprattutto nettamente distinta: difficilmente frequentiamo gli stessi ambienti. Sono quindi numerose le persone che frequentano mio fratello e non me. Mi piacerebbe sapere cosa pensano davvero di lui, intavolare uno scambio di idee alla luce delle diverse esperienze (di fratello e di amico o conoscente o parente meno stretto), ma a dire il vero non ci tengo particolarmente a contattarle, così rimango nella relativa incertezza, ben sapendo che mio fratello si fa benvolere quasi da tutti, quando non viene preso in giro o non gli partono i cinque minuti. Mi fa piacere che queste persone siano generalmente in grado di gestire il rapporto con un disabile intellettivo, sebbene non eccessivamente problematico come mio fratello. Poi ci sono le persone esperte in tema di disabilità (terapisti ed educatori) che hanno a che fare con lui, che raramente conoscono me se non di vista o di nome, con le quali quindi è un po' difficile lo scambio di opinioni vista la mia assoluta riservatezza nei confronti di chi frequenta mio fratello (vedi sopra). Devo dire anche che questa categoria di persone mi mette alquanto in soggezione e mi fa rinunciare in partenza a una possibile amicizia. Con qualche rara persona, rara perché preziosa, riesco ad aprirmi senza remore e con gioia; adoro parlare di mio fratello anche se lo faccio assai di rado. Devo scegliere bene le persone con cui farlo e non posso permettermi molti sbagli: sono sensibile ai fallimenti. Possono conoscerlo o meno, ma meglio meno (vedi sopra il punto riservatezza). Non occorre per forza vivere in prima persona tale esperienza se si ha una mente e un cuore preparati e intelligenti. Credo che chi accetta mio fratello così com'è sarà meglio preparato ad accettare i difetti e le mancanze di qualsiasi persona, quelle piccole disabilità che tutti noi abbiamo ricevuto alla nascita oppure abbiamo sviluppato con il passare del tempo. Chi dice di accettare me ma poi non accetta mio fratello, al contrario, credo che accetti solo una parte ben delimitata di me, spesso troppo stretta e tendenziosa, e non voglia vedere il quadro generale di quello che sono. Sono convinto che questa sia una conclusione anche troppo ovvia per un fratello o una sorella di persona disabile; chissà quanti di noi ci sono dovuti arrivare da soli, nella solitudine e nell'incomprensione, a seguito di amare esperienze. Mi auguro però che questa sia una conclusione davvero condivisa, che unisca noi fratelli e sorelle e che ci unisca ai nostri fratelli e sorelle, noi che sappiamo cosa sia questa esperienza così diversa.
Essere fratello di un fratello disabile è un mestiere che nessuno ti insegna. In realtà questa è una cosa ovvia, ma quanti di voi hanno mai pensato a una cosa del genere? Quanti possono dire di avere fatto questa esperienza? Faccio fatica a dire, quando accenno al fatto che ho un fratello, che è “disabile”. Non sempre me la cavo bene nella comunicazione verbale, e così butto lì la sua disabilità in maniera brusca, senza nessi apparenti con il tema del discorso. Il fatto che il fratello è disabile dovrebbe cambiare qualcosa all'universale esperienza di essere fratello? A naso direi di sì, ma è una mia idea: le persone che conoscono me e non conoscono mio fratello non sanno nulla di questa esperienza, di questa variazione del tema dell'essere fratello, e così non dicono nulla, solitamente sembrano non recepire l'informazione e ci passano sopra. Molti non lo vengono nemmeno a sapere perché, come dire, l'informazione non sembra attinente alle nostre conversazioni: raramente parlo della mia famiglia e il mio grado di apertura su questo argomento varia a seconda della sensibilità e del vissuto dell'interlocutore. Le persone che conoscono superficialmente me e bene mio fratello sono in grado di intuire qualcosa, ma dubito che colgano veramente qualche aspetto del nostro rapporto, così non dicono nulla in proposito, anche perché raramente mi capita di parlare con loro: la rete di rapporti di mio fratello, oltre ad essere molto più estesa della mia (perlomeno all'interno del paese in cui viviamo) è anche e soprattutto nettamente distinta: difficilmente frequentiamo gli stessi ambienti. Sono quindi numerose le persone che frequentano mio fratello e non me. Mi piacerebbe sapere cosa pensano davvero di lui, intavolare uno scambio di idee alla luce delle diverse esperienze (di fratello e di amico o conoscente o parente meno stretto), ma a dire il vero non ci tengo particolarmente a contattarle, così rimango nella relativa incertezza, ben sapendo che mio fratello si fa benvolere quasi da tutti, quando non viene preso in giro o non gli partono i cinque minuti. Mi fa piacere che queste persone siano generalmente in grado di gestire il rapporto con un disabile intellettivo, sebbene non eccessivamente problematico come mio fratello. Poi ci sono le persone esperte in tema di disabilità (terapisti ed educatori) che hanno a che fare con lui, che raramente conoscono me se non di vista o di nome, con le quali quindi è un po' difficile lo scambio di opinioni vista la mia assoluta riservatezza nei confronti di chi frequenta mio fratello (vedi sopra). Devo dire anche che questa categoria di persone mi mette alquanto in soggezione e mi fa rinunciare in partenza a una possibile amicizia. Con qualche rara persona, rara perché preziosa, riesco ad aprirmi senza remore e con gioia; adoro parlare di mio fratello anche se lo faccio assai di rado. Devo scegliere bene le persone con cui farlo e non posso permettermi molti sbagli: sono sensibile ai fallimenti. Possono conoscerlo o meno, ma meglio meno (vedi sopra il punto riservatezza). Non occorre per forza vivere in prima persona tale esperienza se si ha una mente e un cuore preparati e intelligenti. Credo che chi accetta mio fratello così com'è sarà meglio preparato ad accettare i difetti e le mancanze di qualsiasi persona, quelle piccole disabilità che tutti noi abbiamo ricevuto alla nascita oppure abbiamo sviluppato con il passare del tempo. Chi dice di accettare me ma poi non accetta mio fratello, al contrario, credo che accetti solo una parte ben delimitata di me, spesso troppo stretta e tendenziosa, e non voglia vedere il quadro generale di quello che sono. Sono convinto che questa sia una conclusione anche troppo ovvia per un fratello o una sorella di persona disabile; chissà quanti di noi ci sono dovuti arrivare da soli, nella solitudine e nell'incomprensione, a seguito di amare esperienze. Mi auguro però che questa sia una conclusione davvero condivisa, che unisca noi fratelli e sorelle e che ci unisca ai nostri fratelli e sorelle, noi che sappiamo cosa sia questa esperienza così diversa.
Giacomo Tessaro
mercoledì 5 giugno 2013
Moooostroooo
Faccio il braavo
Lasciami, non tenermi schiacciato sul pavimento
Ho pauraaa
Maario vienimi a prendere
Voglio andare a caasa
Caasa
Caaaasaaa
fuoooorii
Voglio andare fuuooorii
Voglio stare con gli altri bambini
Non voglio stare sooolo
sooolo
Nooooooo
Noooo
Nooooooooooo
Non sono un moooostroooo
mercoledì 15 maggio 2013
Lui è un tipo in gamba ed io gli do una mano
Matteo Baraldi ed Emiliano Malagoli sono due giovani motociclisti speciali, così si definiscono loro, poiché corrono in moto con delle protesi, il primo al braccio destro, il secondo alla gamba destra.
La
loro passione per le due ruote, la stessa che gli ha portato via gli
arti a seguito di un incidente stradale, ha permesso loro di rivivere
un’altra vita, diversa e non meno entusiasmante della precedente.
Matteo ed Emiliano hanno inseguito e realizzato i propri sogni dopo
le gravi menomazioni fisiche e ciò li ha resi forti e desiderosi di
coinvolgere altri ragazzi come loro in un bel progetto: Di.Di.
Diversamente Disabili
un’associazione no profit fondata da entrambi per far correre di
nuovo chi ha avuto incidenti gravi.
Matteo
Baraldi classe 1977 nasce a Sirmione in provincia di Brescia. La
passione per la moto lo contagia giovanissimo quando a tre anni monta
in sella sulla moto dello zio. Cresce, studia, acquisisce un diploma
in informatica e trova un impiego sempre coltivando al massimo la sua
passione, poi nel 1999 succede l’incidente.
“Sono scivolato
con la moto - ci
racconta-
a causa della cattiva manutenzione della strada e sono finito contro
un guardrail che era deformato da molto tempo, tagliente come una
lama e rivolto verso la strada; mi ha amputato sul colpo il braccio
destro. Uscito dall’ospedale desideravo di nuovo tornare in sella
mia moto, ma come potevo?”
Poi
Matteo era riuscito a tornare in moto con la protesi nel 2002 e nel
2003 dopo una lunga battaglia legale è riuscito a conseguire la
licenza per correre in moto ma purtroppo era solo.
Per
Matteo l’incontro con Malagoli è stato risolutivo e ci racconta:
“Emiliano mi ha ridato la carica e la positività per fare ciò che
abbiamo fatto! Emiliano è un grande! Credo che non smetterò mai di
ringraziare Emi e la sua compagna Chiara per quello che siamo
riusciti a realizzare fin d’ora!”
Come
vi siete conosciuti? “Emiliano
mi ha telefonato nell'estate 2012 e ci siamo incontrati al Mugello il
30 settembre alla sua prima gara dopo l'incidente.
In quell’occasione
Emiliano mi ha
folgorato dicendomi - facciamo insieme l'endurance al Mugello del 4
novembre 2012? Ed io in neanche un secondo ho replicato: ok
facciamolo".
Poi
Emiliano ha trovato la strada giusta per creare l’onlus Di.Di.
Diversamente Disabili,
con il progetto di realizzare corsi con moto adattate
dall'Associazione per ragazzi che vogliono riprovare a ritornare in
moto dopo l'incidente; per chi vuole ritornare a gareggiare c’è
anche il Team Di.Di.
Ci
sono già tanti ragazzi che vogliono fare i vostri corsi?
“Al
Motodays
di Roma diversi ragazzi hanno girato in pista su alcune moto Di.Di.
allestite per l'occasione e ci sono altri ragazzi pronti a provare
nelle prossime manifestazioni. Il team Di.Di. all'attivo ha già
dodici piloti”.
Che
cosa vorresti dire ai ragazzi che hanno il tuo stesso problema?
È
normale che sia dura dopo dei gravi incidenti ma vale la pena
combattere con tutte le forze per riconquistare il grande sogno
chiamato vita! Si può ancora essere in gioco come prima e
felicemente. Io ed Emiliano ne siamo la prova!”
Emiliano
nasce a Lucca nel 1975 e vive a Montecarlo (LU) fino quando al
Mugello conosce Chiara Valentini, campionessa europea del 2006 anche
lei rientrava alle corse dopo un brutto incidente. Tra di loro è
stato colpo di fulmine, e adesso Emiliano vive a Roma con lei.
“Non
ho mai avuto voglia di studiare e non ho finito le scuole superiori.
Ho un'attività di noleggio autobus gran turismo e per questo conosco
le principali città Europee dove sono stato guidando i miei autobus.
Purtroppo la legge italiana impedisce a un portatore di protesi di
guidare un autobus anche col cambio automatico ma siccome è
anticostituzionale non permettermi nemmeno di poter dimostrare che
posso farcela ho intrapreso una battaglia legale per far cambiare la
legge.”
E’
proprio uno tosto Emiliano
che è
salito in moto a sei anni su una "cimati
50"
da cross regalatagli dal padre. “Poi
ho dovuto aspettare fino a 22 anni per averne un’altra”.
Malagoli
ha avuto l’incidente nel luglio del 2011 - Tornavo
da lavoro – racconta
- erano
da poco passate le 21,30 e dopo una sosta in un bar sono ripartito e
ho perso inspiegabilmente il controllo del mezzo. Mi sono risvegliato
dentro un campo supino e non vedevo la moto, intorno buio e silenzio,
non sento più le gambe e avevo una gran paura di essere paralizzato.
Ho chiamato i soccorsi e mi hanno trovato dopo quaranta minuti mentre
continuavo a perdere sangue. Ho riaperto gli occhi dopo tre giorni al
CTO di Firenze. In Rianimazione mi hanno subito detto che avevo perso
una gamba e che l’altra non era ben messa, ho chiesto subito se
avrei potuto tornare in sella ad una moto…”
Emiliano
ha così iniziato a sfidare il suo destino, nei mesi successivi
subisce dodici interventi chirurgici per tentare di stabilizzare la
gamba rimasta.
“ Ero
testardo e non volevo arrendermi. Cercavo in Rete per trovare qualche
altro ragazzo che era tornato a correre dopo la perdita di un’
arto ed ho trovato Matteo: Ho cercato di rintracciarlo e ci siamo
conosciuti al Mugello il giorno del mio rientro alle corse dopo 400
giorni dall’ incidente”.
Poi
è storia nota. Emiliano ha l’idea di creare Di Di, ma desidera di
più! Con Matteo e Chiara intende creare un reparto Racing per
invogliare chi correva già prima dell’incidente e intende
riprovarci creando così il Primo team di portatori di protesi o
artolesi per correre insieme ai normodotati.
“Ho
acquistato 4 moto – dice
entusiasta Emiliano - le
ho adattate ed abbiamo iniziato a fare corsi di guida per ragazzi
disabili!”
Le
richieste ormai sono diventate numerose, molti ragazzi amputati
chiedono di poter provare le moto in diverse parti d’Italia e
Matteo ed Emiliano pur con mille difficoltà devono spostare 4 moto e
attrezzature, con la necessità di avere sostenitori e sponsor ma
questo non li ferma!
“Vedeste
l’aria che si respira quando andiamo tutti insieme a correre
– conclude Emiliano con
gli occhi commossi - “venite
a vederci, portate genitori, amici, parenti. Tutti si accorgeranno
quanta voglia di vivere e reagire c’è dentro di noi. Credo che
stiamo insegnando qualcosa anche a tanti normodotati che si abbattono
per molto meno”
Per
tutte le info: http://www.diversamentedisabili.it/
Dorotea
Maria Guida
Papà disabile e nuova promessa del Tennis Paralimpico: Antonio Moretto si racconta
Una
delle più belle foto di Antonio Moretto, nato a Treviso nel 1966, è
quella dove ha il suo figlioletto di cinque anni in braccio.
Fidanzato dal 1987 e sposato dal 1994. “Mia
moglie e mio figlio sono delle gioie incredibili, mi pento di non
avere avuto il bambino prima” dice
immediatamente. Poi gli chiedo di raccontarmi un po’ della sua
vita.
“Non
ero molto bravo a scuola, ho studiato perché obbligato fino al
giorno della partenza per il militare fatto nell’arma
dell’aeronautica nel 1989.
Al mio ritorno ho
trovato un’occupazione presso un grosso concessionario di Treviso
fino al fattaccio nel 2000. Sono
appassionato d’informatica e di tennis ma la passione più grande è
stata la moto e con la quale ho avuto l’incidente”.
Te
la senti di raccontarci com’è andata?
“Era
un sabato pomeriggio e con altri amici che condividevano la mia
passione,stavamo correndo assieme quando in una curva per l’eccessiva
velocità fui sbalzato dalla moto dopo aver frenato fortissimo. La
caduta non la ricordo, mi sono svegliato disteso a terra con la
schiena e le gambe in fiamme dai bruciori, nel giro di poco tempo è
sopraggiunto l’elicottero. Sono stato sedato e ho ripreso i sensi
il giorno dopo già operato. Sono stato undici ore in sala operatoria
per la stabilizzazione della colonna vertebrale che nell’incidente
si era spezzata. Sono stato due settimane in Terapia intensiva, penso
i giorni peggiori della mia vita; dopo un mese all’ospedale a
Treviso fui trasferito per altri 3 mesi presso il reparto di
riabilitazione a Vicenza. Sono stati mesi orribili nei quali mi
sentivo proprio un disabile.
Come
hai ricominciato dopo?
“Non
so se interpreto bene questa domanda, come ho ricominciato dopo
l’ospedale? Non vedevo l’ora di tornare a casa non ce la facevo
più a stare in quel posto. Appena
tornato a casa, lentamente, ho cominciato la mia nuova vita. Sono
stato fortunato perchè non ho trovato difficoltà nell’affrontare
la mia disabilità, forse perché la mia lesione non è così grave
come molte altre e credo che l’età (avevo 33 anni quando ho avuto
l’incidente)
e la maturità
acquisita mi hanno aiutato a andare avanti. Ho sempre avuto giornate
piene tra riabilitazione e sport così il tempo è passato
velocemente.”.
Soprattutto
la famiglia e il figlioletto hanno aiutato Antonio a vivere
un’esistenza normale con la quale si realizza pienamente e nella
quale trova anche lo spazio per praticare l’altra passione della
sua vita: Lo sport!
“Con
lo sport mi diverto tantissimo. Ho avuto modo di conoscere tantissima
gente e ho visitato tanti posti. Mi sono confrontato con molte
persone e questo mi ha permesso di raffrontare con altri il problema
comune: la disabilità. Ci si mette a confronto circa le diverse
patologie e spesso si trovano soluzioni a problemi comuni. Ho un
grandissimo difetto a me la competizione mette molta ansia. Ricordo
gli anni subito dopo l’incidente che praticavo nuoto, ero troppo
emotivo e ansioso. Prima di una gara stavo malissimo soffrivo troppo.
Decisi di provare il tennis. La mia ansia da prestazione non è
cambiata molto, ma giocare a tennis è troppo bello. Riesco a far
sparire l’ansia poco dopo aver iniziato la partita.”
Quando
hai iniziato con il tennis in carrozzina?
“Ho
iniziato a gareggiare nel 2004, ma non sono molto talentuoso. Ho una
lesione bassa e questo mi consente di controllare bene la schiena, se
riuscissi a dominare la mia ansia riuscirei ad ottenere molto di più”
Nonostante
l’emotività Antonio Moretto ha conquistato il suo primo Trofeo
nel
luglio
del 2010 a Forlì.
Ci
racconta lui stesso la grande emozione provata: “mia
moglie e mio figlio erano venuti con me ed è stata una gioia
incredibile poter dedicare loro quella prima vittoria! Poi ho vinto
in altre competizioni Italiane e di recente al 14° Trofeo
Internazionale di Cuneo a Marzo di quest’anno ho vinto il Singolo
del Tabellone Secondario”!
Antonio
Moretto vorrebbe contagiare a tutti la gioia che lo sport riesce a
dargli. La possibilità di conoscere la gente di visitare tante città
e soprattutto la possibilità di confrontarsi con se stessi e con gli
altri.
“Invito
tanti ragazzi che come me hanno subito dei traumi irreparabili a
praticare in modo sano lo sport come il tennis in carrozzina perché
è sano. Indipendentemente dalla disciplina scelta, l’ attività
sportiva per le persone disabili è un modo per riequilibrarsi con
se stessi, integrare e vivere meglio la propria condizione”.
martedì 14 maggio 2013
Lorenzo
1)Lorenzo
Ho portato Lorenzo,
Fiammetta, MariaRosa e Bianca a fare una passeggiata; avrei voluto portarli ad
una mostra di fiabe, utile per il laboratorio che teniamo in comunità e a cui
alcuni di loro partecipano, ma non è stato possibile: mi sento una pessima
operatrice, avrei potuto regalare loro un momento di svago, di socializzazione,
avrei potuto gratificare la loro intelligenza, la loro voglia di conoscere:MariaRosa
è molto intelligente, ama il teatro, si capisce da come parla che ha studiato,
le si illuminano gli occhi quando ha l’occasione ancora come un tempo di
sentirsi stimolata; Lorenzo ha studiato all’università, Fiammetta è voracemente
curiosa di tutto. Per colpa mia stiamo camminando come al solito sotto i
portici del paese, al bar concedo loro qualche vizio in più del solito. Stiamo
passeggiando nella via del centro, Lorenzo mi si accosta, cerca il dialogo con
me, lo prendo a braccetto, camminiamo fino a quando loro mi dicono che sono
troppo stanchi per rimanere ancora fuori, per oggi ne hanno abbastanza di tutto
quel mondo. Torniamo in comunità, Lorenzo mi dice:
“ Grazie, oggi per un po’ mi sono illuso di essere un uomo
normale”
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